Fiore del deserto
infibulazione e matrimoni forzati nell'Islam
Molti di voi avranno visto su Canale 5, il 14 agosto scorso, il film del regista Sherry Horman dal titolo "Fiore del deserto", tratto dall'omonimo libro autobiografico, dove si racconta la storia della modella e scrittrice somala, naturalizzata austriaca Waris Dirie, interpretata dalla bellissima attrice Liya Kebede. E' stato un film bello e appassionante che narra le vicende di una bambina somala che a tre anni subisce la barbara mutilazione genitale femminile dell'infibulazione e a tredici viene venduta dalla famiglia (cosa usuale in tutto il mondo islamico) come sposa ma che, fuggita dal matrimonio combinato e scappata a Mogadiscio viene aiutata dalla notta a fuggire nel Regno Unito dove a Londra ha la fortuna di incontrare il fotografo Terry Donaldson che la convince a posare come modella aprendogli le strade del successo internazionale. Da allora la Dirie si è imposta come una delle modelle più famose al mondo nonché Ambasciatrice delle Nazioni Unite per la lotta contro le mutilazioni genitali femminili.
Solitamente in questo blog non parliamo mai di cinema, ma questa volta facciamo un'eccezione, perché questo film ha sollevato il velo su due aspetti poco conosciuti, almeno in occidente, della cultura islamica: l'infibulazione e la vendita delle spose bambine.
L'infibulazione (dal latino fibula, spilla) è una mutilazione, che prevede l'asportazione degli organi genitali di una persona allo scopo di impedire alla stessa di avere rapporti sessuali e consiste nella clitoridectomia (asportazione del clitoride) delle ninfe o piccole labbra, di parte delle grandi labbra vaginali con cauterizzazione (bruciature), cui segue la cucitura della vulva, lasciando aperto solo un foro per permettere la fuoriuscita dell'urina e del sangue mestruale. La mutilazione è irreversibile, mentre la capacità di consumare atti sessuali può essere ripristinata attraverso la defibulazione, una pratica che viene svolta solitamente dal marito dopo il matrimonio.
Condannata dalle Nazioni Unite l'infibulazione è vietata nella stragrande maggioranza delle nazioni del mondo ma sopravvive nel modo islamico dove vige il diritto islamico (sharia), soprattutto quello sunnita, che ne vede la giustificazioni tramite alcuni Ḥadīth (detti avente valore sia giuridico che religioso attribuiti alla vita e alle opere del profeta Maometto) presenti nella Sunna (seconda fonte del diritto islamico è una raccolta di hadith, tramandati da soggetti ritenuti degni di fede) islamica e in particolare negli scritti di Sahih al-Bukhari, Jami` at-Tirmidhi, Sahih Muslim, e Muhammad bin Hassan. L'infibulazione è ancora oggi molto diffusa in Egitto e nell'Africa subsahariana, nonostante alcuni stati l'abbiano vietata per legge, ad esempio la Nigeria nel 2015 e il Sudan nel 2020. In Somalia invece, ancora oggi, viene praticata al 100% della popolazione femminile. In queste aree di tradizionalismo e tribalismo islamico (ma in alcune zone viene praticata anche tra alcune tribù cristiane monofisite di tradizione copta per antica tradizione ancestrale) se una donna non è infibulata viene considerata impura e rischia di essere o allontanata dalla società o addirittura la stessa vita. Le conseguenze per una donna dell'infibulazione sono tremende: mancanza di rapporti sessuali (se non dopo il matrimonio a seguito del quale il marito scuce la vulva della moglie, ma se la donna rimane vedova o viene ripudiata viene immediatamente re-infibulata per preservarne la purezza), rapporti dolorosi e difficoltosi e spesso è causa di cistiti, ritenzione urinaria e infezioni vaginali.
Tale pratica è vietata dalle Chiese Cristiane perché considerate un peccato contro la santità del corpo creato da Dio e la Repubblica Italiana l'ha vietata nel 2006 con legge n. 7 del 9 gennaio e i medici che si prestano ad effettuare tale pratica rischiano di essere interdetti dall'esercizio della professione da tre a dieci anni. Pur tuttavia si pensa che in Italia vi siano circa 40.000 donne immigrate infibulate e che centinaia di ragazzine in Italia vengono, ogni anno, sottoposte a tale barbarie ed operate da anziani delle loro comunità etniche, a pagamento e senza anestesia.
Va ricordato come nel nome del multiculturalismo la Sinistra non soltanto è stata poco attenta nella difesa della salute delle donne ma addirittura la regione toscana voleva autorizzare una infibulazione soft a spese della Regione negli Ospedali pubblici attaccando la Lega che si era opposta a tale pratica, difesa invece dal presidente democratico della Regione Enrico Rossi. Non dimentichiamo che la legge contro l'infibulazione fu all'epoca contrastata in parlamento da diversi esponenti dell'Ulivo (quale ad esempio l'on. Cinzia Dato) e dal Partito della Rifondazione Comunista.
Il secondo argomento presente nel film è quello della vendita delle spose bambine. Al contrario che nell'occidente cristiano o laico, nel mondo islamico (e non solo, vedi anche l'India induista) i matrimoni sono generalmente combinati dalle famiglie e le bambine vengono vendute come spose fin dall'età di nove anni. Anche in Italia non passa anno che qualche ragazza viene uccisa perché rifiuta un matrimonio combinato oppure perché adotta costumi e vestiario occidentale o si è innamorata di un ragazzo italiano "infedele". Non farò qui l'elenco perché altrimenti non basta un articolo ma occorrerebbe scrivere un libro. Il caso delle spose bambine è diffuso in tutto il mondo islamico e in Italia, negli ultimi decenni, ci sono stati almeno una trentina di casi sui quali ha indagato la polizia di stato riguardanti soprattutto ragazza pakistane, bengalesi, marocchine, kosovare o rom khorakhanè (bosniaci musulmani) ed è giustificato dall'Islam dal fatto che l'ultima delle 27 mogli (più alcune concubine) del profeta Maometto, ʿĀʾisha bint Abī Bakr (Aisha figlia di Abu Bakr, compagno del profeta e primo Califfo della Comunità Islamica) aveva sei anni al momento del matrimonio e nove a quello della consumazione. Fosse vissuto oggi in occidente, Maometto sarebbe stato condannato per pedofilia ma nel mondo islamico, anche oggi, 9 anni è l'età per il matrimonio accettata dal Regno dell'Arabia Saudita e dalle Corti Islamiche in base alla sharia. In molti paesi islamici, è in uso il matrimonio imposto (jabr) che permette al padre di dare in sposa la figlia a sua discrezione. Anche se questa pratica è stata formalmente vietata in alcuni stati islamici nordafricani quali il Marocco, la Tunisia e l'Algeria è ancora universalmente diffusa nel mondo islamico, specie in Pakistan, dove è noto dalla maggior parte dei casi emersi nel nostro Paese. Le figlie vengono date in matrimonio in cambio di una somma di denaro, una vera e propria vendita, che prende il nome di mahr o dote.
Queste pratiche, come dimostrano casi di cronaca che periodicamente appaiono nei giornali, sono più o meno diffuse anche tra le comunità etniche islamiche presenti in Italia ed è per questo che è importante sia conoscerle che denunciare degli aspetti controversi della religione islamica che le permettono e che sono in netto contrasto con le nostre leggi e con la nostra civiltà.
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